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Economia

Più occupati ma meno pagati: tra trionfalismi e realtà del lavoro in Italia

Il governo festeggia, e in parte ha ragione. I dati Istat sull’occupazione diffusi di recente parlano chiaro: mai così tanti occupati in Italia – 24,3 milioni di persone lavorano, con un incremento di 567mila unità in un anno. Il tasso di disoccupazione scende al 5,9%, il più basso dal 2007. Per la ministra del Lavoro, Marina Calderone, è la conferma che “l’azione del governo è stata premiata”.

Tuttavia, se si va oltre i numeri aggregati, il quadro si fa più sfumato. L’aumento degli occupati è trainato soprattutto dagli over 50, mentre nella fascia 25-34 anni cala l’occupazione e aumentano gli inattivi, segno di scoraggiamento e offerte poco adeguate. Al contrario, la disoccupazione tra i giovanissimi (15-24 anni) tocca un minimo storico del 16,9%, ma si tratta spesso di lavori accettati pur di entrare nel mercato, anche a condizioni economiche sfavorevoli.

Ed è proprio qui che si inserisce il nodo salariale, oggi più che mai centrale. Secondo l’Ocse, lo stipendio medio lordo annuo in Italia nel 2024 si attesta a 31.700 euro, inferiore ai 33.536 del 2010 a parità di potere d’acquisto. In 15 anni, i lavoratori italiani hanno perso circa 1.800 euro l’anno. Un calo costante e silenzioso, che nessun governo può ignorare.

Insomma, il lavoro c’è, ma non soddisfa. E questo dovrebbe essere un campanello d’allarme non solo per l’esecutivo, ma anche per i sindacati, chiamati a tornare a combattere con forza per i salari. Perché la qualità del lavoro – e non solo la sua quantità – è ciò che realmente fa la differenza nella vita delle persone. E oggi, più che mai, non ci si può accontentare solo dei numeri.

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